Se desideriamo essere felici, il gioco è un
ingrediente che non può mancare.
Attività tipica dell’infanzia, ma necessaria
anche nelle altre età della vita, è caratterizzato da sentimenti di
piacevolezza e gratificazione che risiedono nel gioco stesso e non nel fine o
nel risultato che esso produce.
In modo diverso a seconda dell’età, esso è il
nutrimento essenziale della nostra esistenza: il bambino che non ha potuto
giocare diventa spesso il “bravo ometto” incapace di sorprendersi e di provare
abbandono; l’adolescente che non gioca sarà un adulto compresso e con
difficoltà relazionali. L’adulto che non gioca più è sempre stressato, tirato e
stanco. L’anziano che non sa più giocare invecchia tra mille acciacchi,
pessimismo e depressione. Una linfa vitale, dunque, dai multiformi aspetti.
L’adulto di oggi sa giocare poco. Spesso tenta
di unire l’utile al dilettevole, o crede che ciò che è utile a qualche finalità
sia anche ciò che gli dovrebbe piacere. A volte sceglie i giochi in base ai
condizionamenti dei media e pensa di divertirsi, ma in realtà si annoia.
Altre volte intende il gioco come tutto ciò che è fuga dalla realtà, oppure
proprio non sa giocare e prende tutto sul serio. A volte gioca nel momento
sbagliato, ad esempio sul lavoro o nei momenti seri di un discorso. Talvolta
non si diverte se non c’è una ferrea competizione, oppure pensa che essere
adulti significhi non giocare più. E altre volte “gioca” con i sentimenti degli
altri, come l’eterno Peter Pan, la cui sindrome è oggi in piena espansione.
Oppure gioca, ma d’azzardo.
La parola
“azzardo” deriva dal francese
hasard , un termine a sua volta di origine araba e derivante dal termine az-zahr
che designava il “dado”, uno dei più antichi oggetti a cui si lega la
tradizione del gioco sociale di scommessa.
Il gioco dei dadi viene citato nella Letteratura
Vedica[1];
nell’antica Grecia era usuale scommettere sui risultati dei giochi olimpici; le
cosiddette munera erano le puntate con cui gli antichi romani
scommettevano sui combattimenti dei gladiatori.
Oggi, la
dimensione sociale del gioco d’azzardo è in gran parte favorita dalle crescenti
possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, purtroppo
sempre più legalizzate, che rispondono alle esigenze di giocatori con diverse
propensioni e differenti personalità: dai giocatori d’azzardo da gran salone,
come quelli che frequentano i casinò e le slot-machine, agli appassionati dei
videogiochi che si lasciano conquistare dai sempre più diffusi videopoker, agli
appassionati dei giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il superenalotto,
il totip, fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che
riesce a conquistare anche interi gruppi grazie al suo profondo legame con il
vissuto di una vecchia usanza festiva a dimensione familiare.
Recentemente è possibile anche scommettere su
eventi non sportivi come i festival musicali (Sanremo ed Eurovision Song
Contest) e i reality.
L'organizzazione del gioco d'azzardo, in tutti i
paesi in cui è permesso, è in pratica gestita dallo stato, il quale appalta a
ditte private, dietro pagamento di una forte tassa, l'esclusiva in una
delimitata zona. L'attività di gestione di un casinò o di una agenzia scommesse
è estremamente redditizia e si presta a molti traffici illegali, come
riciclaggio di denaro sporco, estorsione, usura e altre attività criminali
organizzate, rendendo indispensabile un suo stretto controllo. Tuttavia non
sempre tali controlli vengono eseguiti in maniera scrupolosa e capillare e
quindi molti Stati UE, tra cui l'Inghilterra e recentemente anche Spagna e
Italia, hanno optato per la liberalizzazione del settore, in modo da relegare
al mercato il controllo della serietà e onestà delle case da gioco.
La nozione di gioco d'azzardo si evince
dall'art. 720 del codice penale: sono giochi d'azzardo quelli in cui ricorre il
fine di lucro e la vincita o la perdita sono interamente o quasi interamente
aleatorie.
Nel trattato “Indagine sulla natura e le
cause della ricchezza delle nazioni” (1776), l’economista scozzese Adam
Smith dedica un paragrafo[2]
alla questione riguardante la scarsa equità delle lotterie nazionali:
“Non è mai esistita e mai esisterà al mondo
una lotteria perfettamente equa, tale cioè che il guadagno totale compensi la
perdita totale, poiché il gestore non ne ricaverebbe niente. I biglietti nelle
lotterie di Stato non valgono realmente il prezzo pagato dai sottoscrittori
originari e tuttavia si vendono comunemente sul mercato con un sovrapprezzo del
venti per cento, del trenta per cento e qualche volta del quaranta per cento.
La vana speranza di guadagnare uno dei grandi premi è la sola ragione di questa
domanda. Anche le persone più equilibrate difficilmente considerano una follia
pagare una piccola somma in cambio della possibilità di guadagnare dieci o
ventimila sterline, perché non sanno che quella somma, pur piccola, è superiore
del venti o trenta per cento al valore della probabilità che rappresenta”.
Nell’era multimediale il giocatore d’azzardo ha
cambiato veste: mentre prima era facilmente individuabile, “segregato” nei
luoghi a lui deputati, ora chiunque sia in possesso di un computer, di un
collegamento a internet e di una carta di credito, può diventare un giocatore
compulsivo. Il gioco on-line è estremamente pericoloso proprio perché, nella
solitudine della propria casa, il giocatore non ha freni, né inibitori, né di
tipo pratico: ha infatti 24 ore su 24 la possibilità di accedere al gioco senza
incorrere nello sguardo giudicante degli altri. Viene in questo modo a mancare
anche la funzione socializzante del gioco, che diviene un rituale solitario.
Anche qui, come nelle altre net-patologie, si crea un circolo vizioso in cui il
soggetto rimane incastrato, trascurando i rapporti sociali e familiari.
Il gioco
d'azzardo patologico è un disturbo del comportamento che, benché rientri
tuttora nella categoria diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi, ha in
realtà una grande attinenza con la tossicodipendenza, tanto da rientrare
nell'area delle cosiddette "dipendenze senza sostanze".
Il giocatore patologico, infatti, mostra una
crescente dipendenza nei confronti del gioco d'azzardo, aumentando la frequenza
delle giocate, il tempo passato a giocare e la somma spesa nel tentativo di
recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e
trascurando i normali impegni della vita.
Se un individuo presenta almeno cinque di questi
sintomi, viene diagnosticato un quadro di gioco d’azzardo patologico (DSM-IV,
1994):
1.
È eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (per esempio, il
soggetto è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a
valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare i modi per
procurarsi denaro con cui giocare)
2.
Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per
raggiungere lo stato di eccitazione desiderato
3.
Ha ripetutamente tentato di ridurre, controllare o interrompere il
gioco d’azzardo, ma senza successo
4.
È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere
il gioco d’azzardo
5.
Gioca d’azzardo per sfuggire ai problemi o per alleviare un umore
disforico (per esempio, sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione)
6.
Dopo aver perso al gioco, spesso ritorna un altro giorno a giocare
ancora (rincorrendo le proprie perdite)
7.
Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta o ad altri
per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo
8.
Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o
appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo
9.
Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il
lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo
10.
Fa affidamento sugli altri per reperire il denaro per alleviare
una situazione economica disperata causata dal gioco (“operazione di
salvataggio”).
Nella “ludodipendenza” (o compulsive gambling), il vero
senso del gioco, attraverso cui si può costruire e scoprire il proprio Sè -
sperimentando libertà, creatività, apprendimento di regole e ruoli e
sospendendo le conseguenze reali - viene completamente ribaltato per
trasformarsi in schiavitù, ossessione, ripetitività.
In
relazione alle motivazioni che sembrano determinare e accompagnare il gioco
d’azzardo, alcune ricerche hanno distinto le seguenti tipologie di giocatori (Alonso Fernandez F., 1996, Dickerson M.,
1993):
·
il giocatore sociale, che mosso dalla partecipazione
ricreativa, considera il gioco come un’occasione per socializzare e divertirsi;
·
il giocatore
problematico in cui, pur non essendo presente ancora una vera e propria
patologia attiva, esistono dei problemi sociali da cui sfugge o a cui cerca
soluzione attraverso il gioco;
·
il giocatore patologico
in cui la dimensione del gioco è ribaltata in un comportamento distruttivo che
è alimentato da altre serie problematiche psichiche;
·
il giocatore patologico impulsivo/dipendente
in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico con il gioco
d’azzardo sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza.
Lo stato
mentale di un giocatore patologico si caratterizza per il raggiungimento di uno
stato similare alla sbornia, con una modificazione della percezione temporale,
un rallentamento o perfino blocco del tempo, che conduce ad uno stato di estasi
ipnotica dal gioco. Talvolta questa condizione della mente è favorita da un
reale consumo di alcolici o di altre sostanze, associato al gioco, che alimenta
la perdita di controllo della propria condotta.
Si può
parlare di una vera e propria “dipendenza
dal gioco d’azzardo” se sono presenti cosiddetti sintomi di tolleranza, come il bisogno di aumentare la quantità di
gioco, sintomi di astinenza, come malessere legato ad ansietà e
irritabilità associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi
e sintomi di perdita di controllo,
manifestati attraverso l’incapacità di smettere di giocare.
I giochi
che sembrano predisporre maggiormente al rischio sono quelli che offrono
maggiore vicinanza spazio-temporale tra scommessa e premio, quali le
slot-machine e i giochi da casinò, ma anche i videopoker e il Bingo.
Le fasce
più a rischio sembrano invece, tra le donne, le casalinghe e le lavoratrici
autonome dai quaranta ai cinquant’anni e, tra gli uomini, i disoccupati o i
lavoratori autonomi che hanno un frequente contatto col denaro o con la vendita
ed un’età intorno ai quarant’anni.
Alcuni
autori (R. Custer, 1982) distinguono le
fasi di progressione del gioco d’azzardo patologico, in cui un giocatore
si può muovere sia sul versante dell’aggravamento del problema che della
possibile risoluzione dello stesso. Più precisamente sono state individuate le
seguenti tappe:
FASE
VINCENTE: caratterizzata dal gioco occasionale e da vincite iniziali che
motivano a giocare in modo crescente, spesso grazie alla capacità del gioco di
produrre un piacere e di alleviare tensioni e stati emotivi negativi;
FASE
PERDENTE: connotata dal gioco solitario, dall’aumento del denaro investito nel
gioco, dalla nascita di debiti, dalla crescita del pensiero relativo al gioco e
del tempo speso a giocare;
FASE DI
DISPERAZIONE: in cui cresce ancora il tempo dedicato al gioco e l’isolamento
sociale conseguente, con il degenerare dei problemi lavorativi/scolastici e
familiari (divorzi, separazioni) che talvolta generano anche gesti disperati di
tentativi di suicidio;
FASE
CRITICA: in cui nasce il desiderio di aiuto, la speranza di uscire dal problema
e il tentativo realistico di risolverlo attraverso il ritorno al lavoro, nonché
i tentativi di ricucire debiti e problemi socio-familiari;
FASE DI
RICOSTRUZIONE: in cui cominciano a vedersi i miglioramenti nella vita
familiare, nella capacità di pianificare nuovi obiettivi e nell’autostima;
FASE DI
CRESCITA: in cui si sviluppa maggiore introspezione e un nuovo stile di vita
lontano dal gioco.
Dal
momento in cui il gioco d’azzardo patologico è stato riconosciuto come un vero
e proprio disturbo psicologico, distinto da altre problematiche, sono stati
sviluppati diversi programmi di intervento sul problema. Spesso la terapia si
svolge in vere e proprie comunità di recupero (gruppi di auto-aiuto per
Giocatori Anonimi), ed è fondata su diversi step per l’uscita dal problema: dal
suo riconoscimento, alla condivisione, ai traguardi verso l’abbandono basati
sull’analisi delle tecniche di autoinganno comuni che spesso vengono più
facilmente osservate nei racconti degli altri giocatori. Gli obiettivi sono
sempre centrati sulla possibilità di modificare, oltre che il comportamento di
gioco, il substrato cognitivo legato all’idea che prima o poi arriverà il
giorno in cui il gioco potrà cambiare la propria vita risolvendo magicamente i
propri problemi.
La Tradizione Bhaktivedantica dedica
un’attenzione particolare al problema della dipendenza dal gioco d’azzardo,
tanto che la pratica spirituale giornaliera (sadhana) di chi desidera incamminarsi sul sentiero della
realizzazione e della trascendenza si basa su una rigorosa astensione da tale
forma di comportamento nocivo.
Secondo, infatti, la legge del Dharma, l’insieme dei principi etici
universali che regolano l’ordine cosmico, qualunque comportamento volto a danneggiare altri esseri umani o
che implichi alterazioni di coscienza è da considerarsi pericoloso e va
pertanto evitato:
“….Tutto ciò che intossica, tutto ciò che altera
lo stato psichico, tutto ciò che artificialmente inebria o stordisce, deve
essere evitato. Il gioco d’azzardo va evitato in quanto destabilizza la mente.
Attenzione, perché non si gioca d’azzardo solo al casinò. Si può giocare
d’azzardo anche con la propria vita, o con la vita degli altri. Questa
espressione indica più esattamente di evitare di porsi in situazioni che sono
inutilmente rischiose, per noi e/o per terzi” (Tratto da una lezione di Marco
Ferrini, Trento, 13 aprile 2003).
La Bhagavad-gita esorta inoltre in modo
chiaro a rifuggire dalle passioni pericolose:
“O capo dei Bharata, quando vi è un incremento
della passione, si sviluppano i sintomi di un grande attaccamento, si
moltiplicano le attività interessate e gli sforzi intensi, i desideri
incontrollabili e le aspirazioni ardenti.” (Bhagavad-gita,
XIV, 12)
“Essi (gli esseri dalla coscienza ottenebrata)
credono che la gratificazione dei sensi sia la necessità primaria della civiltà
umana, così fino a termine dei loro giorni vivono in un'ansia senza limiti.
Impigliati in una rete di desideri, immersi nella lussuria e nella collera,
accumulano denaro con mezzi illeciti per soddisfare i sensi.” (Bhagavad-gita, XVI, 11-12)
“Gli esseri dalla coscienza ottenebrata pensano:
"Oggi possiedo tutta questa ricchezza e secondo i miei piani ne otterrò
ancora di più. Ora tutto questo è mio e domani avrò di più, sempre di più.
Quell'uomo era un mio nemico e io l'ho ucciso e anche gli altri nemici saranno
a loro volta uccisi. Io sono il padrone di tutto, sono colui che gode di tutto.
Ecco come queste persone sono sviate dall'ignoranza.” (Bhagavad-gita, XVI, 13-15)
La Psicologia tramandata dalla cultura vedica
fornisce vari strumenti per rendere la nostra coscienza più chiara e limpida: mantra,
visualizzazioni meditative, tecniche yoga e altre semplici pratiche per
equilibrare il rapporto mente-corpo-anima.
Come tutte le dipendenze, infatti, il gioco
d’azzardo nasce da un eccessivo investimento di energie sul piano mentale che
genera un continuo “girare a vuoto” tra ansie e aspettative. Il migliore
rimedio a tali disturbi consiste nel portare consapevolezza e attenzione nei
propri comportamenti, evitando di scacciarli o di combatterli, perché ciò ne
alimenterebbe proprio la fonte (in genere, più ci ostiniamo a pensare
all’oggetto della dipendenza, più questo si impadronisce della nostra mente).
Invece, le pratiche spirituali fondate sulle
antiche tecniche yogiche di pranayama (controllo
del respiro), pratyahara (concentrazione)
e dhyana (meditazione), ispirate dai
Saggi Indiani, insegnano a porsi in una posizione di distacco rispetto al
flusso mentale (citta vritti), talvolta coercitivo, della
nostra coscienza e a ritrovare gradualmente un dialogo costruttivo con il
nostro vero Sé e con la nostra anima (atman).
Secondo la Tradizione Bhaktivedantica, anche la
pratica regolare del mahamantra
hare krishna hare krishna krishna krishna
hare hare hare rama hare rama rama rama hare hare
possiede la proprietà di “ripulire” la mente dai
pensieri “tossici” e di illuminare le zone buie del nostro inconscio. Come
affermato nella Caitanya-caritamrita:
hare
nama harer nama
harer
namaiva kevalam
kalau nasty eva nasty eva
nasty eva gatir anyatha
“Per il progresso spirituale in questa era di
Kali non c’è alternativa, non c’è alternativa, non c’è alternativa al di fuori
del santo nome, del santo nome, del santo nome del Signore” (Adi-lila, cap. 7,
verso 76).
Il mantra, infatti, attraverso la sua
vibrazione trascendente, ridesta in noi la coscienza originaria di esseri
spirituali e aiuta a liberarci dalla morsa dell’illusione e dei condizionamenti
(maya).
Con l’uso appropriato di tali terapie, il gioco,
invece di portare degrado e schiavitù, tornerà ad essere un elemento naturale
di crescita e felicità, un modo ideale per fermare il tempo e far uscire la
nostra vera essenza.
Caterina Carloni
[1] Nel poema epico Mahabharata si narra di una partita a dadi truccata, organizzata dal
diabolico Duryodhana per
sbarazzarsi
dei suoi cugini, i Pandava, e impossessarsi in modo fraudolento del loro regno
e dei loro beni (Mahabharata
I.41-46).
[2]
“Dei salari e dei profitti nei diversi
impieghi del lavoro e dei fondi”, libro primo, capitolo X.