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venerdì 19 ottobre 2018

IL TERAPEUTA DI CARTA: Krishna Dvaipayana Vyasa





Tra le tecniche terapeutiche più antiche -  e recentemente riproposte dalla medicina non convenzionale - un posto di primo piano spetta a quella che gli studiosi del settore hanno oggi ribattezzato “biblioterapia”, ovvero la cura  psicologica derivante dalla lettura di libri  particolari, il cui contenuto è in grado di attivare processi di autoguarigione.

La buona lettura ci aiuta, infatti, a trovare le istruzioni per l'uso della situazione che stiamo vivendo; trasforma la nostra angoscia e ci permette di comprenderla attraverso l'esperienza di un altro, come attraverso uno specchio.

I cosiddetti manuali di autoaiuto – scritti per risolvere i problemi e favorire il benessere psicologico di chi li legge – rappresenta un filone che oggi prospera soprattutto negli Stati Uniti, dove circolano circa 3700 titoli di questo genere.

Secondo lo psicologo olandese Ad Bergsma dell'Università di Rotterdam, che all'argomento ha dedicato una ricerca, questo genere di “terapia” ha successo perché:

-         i libri sono facilmente accessibili

-         sono poco costosi

-         garantiscono riservatezza

-         ci danno la soddisfazione di sapere che non siamo i soli a soffrire di un determinato “problema”.



Diverse ricerche mostrano che ciò che leggiamo influenza il nostro modo di vedere il mondo.

Raymond A. Mar, psicologo della York University di Toronto, ha mostrato, in un esperimento mirato ad analizzare gli effetti dell'esposizione prolungata alla narrativa, che le persone che hanno appena letto un racconto rispondono meglio a un test sulle interazioni sociali rispetto a quanti hanno letto un articolo di una rivista.

In effetti, si sta cominciando ad analizzare alcuni testi con lo stesso criterio adottato per i farmaci, confrontando il benessere dei soggetti prima e dopo la lettura e paragonandolo a quello dei pazienti che non hanno letto il libro. Una prassi adottata soprattutto in Gran Bretagna, dove il servizio sanitario prescrive spesso la lettura come primo intervento per i casi meno gravi.

Anche se alcuni testi propongono soluzioni smentite dalle ricerche recenti  (per esempio invitano ad esprimere la rabbia, quando sappiamo che è un modo per mantenerla viva) o troppo generiche per essere utili, diversi studi europei e statunitensi confermano l'utilità della biblioterapia.

Scrittura e lettura sono attività meno lontane tra loro di quanto si possa credere, e sono entrambe forme di autoterapia: come lo scrittore parte per la sua creazione da testi e storie preesistenti, chi legge interpreta il testo trovandoci quello di cui ha bisogno in quel momento.

I risultati migliori si ottengono nel trattamento di ansia, depressione e disturbi con l'alcool di lieve entità, ma anche insonnia e disfunzioni sessuali, mentre gli effetti su tabagismo e alcolismo grave sono meno soddisfacenti.

Il fatto stesso di leggere induce un processo psicofisiologico di rilassamento e migliora il livello di concentrazione.

Secondo John Norcross dell'Università di Scranton, che si occupa dell'argomento, tutto dipende dal testo scelto, e il fatto che sia un bestseller, di per sé, non è indicativo.

Le autorità britanniche, all'avanguardia nel campo della medicina alternativa (nel 1946, ad esempio, hanno ufficialmente introdotto l'arteterapia in tutti gli ospedali e formalizzato un iter formativo  specifico per gli operatori del settore), hanno approvato una lista di 35 titoli considerati validi, mentre negli Stati Uniti è stata pubblicata “The Authoritative Guide to Self-Helf Resources in Mental Health”  (una guida per la scelta di testi considerati terapeutici) a cura di Norcross e di altri psicologi.

Un libro sbagliato, infatti, può avere effetti negativi, secondo  gli esperti, visto che può generare sensi di colpa, o in alcuni casi convincere erroneamente una persona che il suo problema non abbia soluzione.

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Queste ricerche dimostrano il potere  fondamentale e imprescindibile della parola scritta, valore ben conosciuto dall'antica tradizione psicologica indovedica, che, attraverso la scrittura, ha tramandato le sue conoscenze sacre affinché gli uomini dell'era attuale potessero elevarsi.

Tali conoscenze, conservate e trasmesse fino a tarda epoca esclusivamente per via orale, canale privilegiato di comunicazione della Divina Sapienza, vennero messe per iscritto al solo scopo di preservarle e di contrastare il progressivo degrado morale e spirituale dell'umanità.

Secondo la Tradizione Indovedica, fu il grande saggio Krishna Dvaipayana Vyasa, che all'inizio dell'attuale era di Kali, nel 3000 a.C. circa, redasse il Veda originario suddividendolo in quattro parti (le quattro Samhita o raccolte), affidando ciascuna di esse ad uno dei suoi discepoli.

Si narra, però, che dopo aver compilato questi autentici capolavori di letteratura e di poesia e redatto il Mahabharata, in cui è contenuta  anche la Bhagavad-gita, fosse ancora insoddisfatto. Arrivò allora al suo asrama, sulle rive del fiume Sarasvati, il grande Maestro Narada, che gli consigliò di scrivere un'0pera  in cui fossero pienamente esaltate e descritte le glorie infinite del Signore Supremo:

“Le parole che non esprimono le glorie del Signore, sufficienti a rendere pura l'atmosfera dell'intero universo, sono considerate dalle persone sante come luoghi di pellegrinaggio per i corvi. Poiché abitano il mondo trascendentale, le persone perfettamente realizzate non trovano alcun piacere in esse.

D'altra parte, le opere che descrivono le glorie trascendentali del nome, della fama, della forma e dei divertimenti del Signore Supremo e Infinito sono d'ispirazione completamente spirituale, e le parole sublimi che riempiono le loro pagine sono destinate a rivoluzionare le abitudini empie delle civiltà deviate di questo mondo. Anche se la loro stesura presenta qualche irregolarità, queste Scritture sono sempre ascoltate, cantate e accolte da tutti gli uomini puri che sono animati da una profonda onestà” (S.B. 1.5.10-11).

Fu così che Vyasadeva scrisse la più vasta e perfetta sintesi di sapere vedico, lo Srimad Bhagavatam.

Quest'opera maestosa, composta di diciottomila versi, comincia con la domanda che l'imperatore Pariksit rivolge a Sukadeva Gosvami: “Poiché tu sei il maestro spirituale dei grandi santi e devoti, t'imploro di tracciare per tutti gli uomini, e in particolare per chi è in punto di morte, la via della perfezione. Indicami, ti prego, ciò che un uomo deve ascoltare, glorificare, ricordare e adorare, ma anche ciò che deve evitare. Ti prego, rivelami questa conoscenza” (S.B. 1.19.37-38).

Le risposte di Sukadeva Gosvami spaziano dalle origini dell'universo alla natura del sé spirituale, e costituiscono una fonte inesauribile di informazioni dettagliate sugli aspetti più diversi dell'eredità spirituale dell'India.

In questa narrazione sacra, Maharaja Pariksit, allora lmperatore del mondo e in possesso di tutte le qualità del rajarsi, del santo re, viene avvertito della propria morte sette giorni prima. Rinuncia, perciò, al suo regno e si ritira sulle rive del Gange per digiunare e apprendere la verità spirituale dal suo Maestro Sukadeva Gosvami, davanti ad un'assemblea di santi eruditi, fino al compimento della profezia.

Oltre a costituire un raro modello di poesia, lo Srimad Bhagavatam svela i meccanismi e le strutture della società vedica, scientificamente organizzata, pacifica e basata su un elevato pensiero spirituale. Fornisce, inoltre, informazioni psicologiche sulla natura della coscienza, sul comportamento umano e sull'identità dell'essere, e rappresenta una guida semplice e pratica che permette di raggiungere la più alta conoscenza di sé.

Perfetto modello di elevatissima  e originale libroterapia, lo Srimad Bhagavatam racconta una lunga serie di storie, una dietro l'altra, in cui nulla è irreversibile o irrimediabile, e ogni vicenda trova un suo più profondo significato simbolico e trascendente attraverso prove, elaborazioni e riflessioni. L'equilibrio raggiunto è sempre una fase transitoria verso nuovi traguardi.

Il testo andrebbe letto come fanno i bambini, che amano leggere o ascoltare sempre la stessa storia, senza varianti, in modo da rielaborare gli avvenimenti, in particolare quelli che generano ansia, fin quando si giunge a conoscere la storia a fondo, e in qualche modo a controllarla superando le paure.

Queste storie offrono, infatti, strumenti di problem solving, suggerendo soluzioni a livello profondo e simbolico; attivano processi di autoguarigione; sono utili per superare difficoltà esistenziali e anche crisi momentanee; facilitano il recupero dell'equilibrio interiore e stimolano processi di crescita spirituale.

I personaggi che si muovono in questi scenari sono figure archetipiche che incarnano le contraddittorie tendenze insite in ognuno di noi, i membri della propria cerchia familiare e sociale nei loro opposti aspetti, e possono suscitare forti reazioni emotive attraverso un meccanismo di proiezione (di cui già parlavano Freud e Groddeck) e una forma di identificazione che può funzionare sia in positivo che in negativo.

Le vicende narrate esorcizzano incubi sepolti nell'inconscio, placano inquietudini, aiutano a superare insicurezze e mettono di fronte alle reali difficoltà dell'esistenza con un linguaggio non realistico, che è l'unico pienamente recepibile a livello profondo.

Quest'Opera non solo può dare molto conforto e arricchire il   nostro bagaglio culturale, ma diventare uno strumento terapeutico capace di promuovere la trasformazione della coscienza e l'apertura a nuove prospettive esistenziali.



                                                                     





Per approfondire:

A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada, “Shrimad Bhagavatam”, The Bhaktivedanta Book  Trust International, 1996

Bettelheim B., “Il mondo incantato – uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe”, Feltrinelli, 1985

Silvera M. “Libroterapia”, A. Solani, 2007

Santagostino P., “Guarire con una fiaba”, Feltrinelli, 2006










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