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giovedì 18 ottobre 2018

IL CERCHIO DEL MONDO



“..allora, io ero là, sulla più alta delle montagne, e tutto intorno a me c'era l'intero cerchio del mondo. E mentre ero là, vidi più di ciò che posso dire e capii più di quanto vidi; perché stavo guardando in maniera sacra la forma spirituale di ogni cosa, e la forma di tutte le cose che, tutte insieme, sono un solo essere. E io dico che il sacro cerchio del mio popolo era uno dei tanti che formarono un unico grande cerchio, largo come la luce del giorno e delle stelle, e nel centro crebbe un albero fiorito a riparo di tutti i figli di un'unica madre e di un unico padre. E io vidi che era sacro..   E il centro del mondo è dovunque..”   (Alce Nero)




Una delle principali notizie comparse sui giornali di tutto il mondo lo scorso 1 dicembre è stato l’”acquisto” da parte della Indian Land Tenure Foundation, per 9 milioni di dollari, di un appezzamento di terreno sulle Black Hills, una regione del South Dakota (USA), considerata dai nativi americani una terra sacra.

La zona, chiamata dai Sioux “Paha Sapa”, era di proprietà di una coppia di privati che all’inizio dell’anno l’aveva messa in vendita. Dopo la sollevazione delle tribù indiane, che si sono subito rimboccate le maniche e hanno fatto di tutto, riuscendoci, per riprendersi la terra dei loro avi, l’asta era stata bloccata. In questa zona sono state girate molte scene del film di Kevin Kostner, vincitore di 7 premi Oscar, “Balla coi lupi”, nel 1990. E non lontano da qui, a Little Big Horn, i soldati del settimo cavalleggeri del tenente Colonnello Custer vennero sconfitti dai guerrieri indiani.

La terra del South Dakota è abitata dai nativi americani fin dal 7000 a. C.  Oggi ci vivono più di 62mila pellerossa. Molti di loro sono Dakota, Lakota o Nakota (dai tre dialetti della stessa lingua parlati dalle varie tribù). Meglio conosciuti con il nome di Sioux. E il loro spirito di vita rimane quello di sempre: l’equilibrio nel rispetto delle leggi dell’universo. Un equilibrio raggiungibile perseguendo "woksape" (saggezza), "woohitika" (coraggio), "wowacintanka" (fortezza) e "wacantognaka" (generosità).

Molte tribù indiane credono che la storia della loro nascita dipenda proprio dalle Black Hills, una catena di imponenti montagne del South Dakota. Il punto più alto delle Black Hills raggiunge i 2.200 metri. Il picco - Harney Peak – si trova all’interno del deserto di Alce Nero (dal nome di un capo Lakota). Sulle Black Hills si trova anche il Mount Rushmore National Memorial: quelle enormi sculture che rappresentano i volti di quattro presidenti statunitensi (George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosvelt e Abraham Lincoln) incastonati nella montagna.  A nord est delle Black Hills sorge il Bear Butte: un sito di grande significato spirituale per le tribù dei nativi americani delle pianure del South Dakota. Qui infatti vengono ancora celebrate cerimonie religiose e riti di iniziazione.

Il Crazy Horse Memorial – che si trova nelle Black Hills – è una enorme scultura che emerge dal fianco di una montagna. Rappresenta Cavallo Pazzo, il leggendario capo dei Lakota.

La storia di questo sito è piuttosto turbolenta: nel 1868, al termine delle famose guerre tra le tribù indigene e i soldati americani, venne stabilito un trattato di pace, secondo cui quella terra sarebbe stata affidata agli indiani. Pochi anni dopo, però, il Congresso violò quel trattato di pace con una legge con cui concedeva quella terra ai cercatori d’oro, accorsi in massa dopo la scoperta di molte pepite in quella parte del South Dakota.

Da allora cominciò una lunghissima vertenza legale e politica, culminata nel 1980 con una storica sentenza della Corte Suprema che stabilì una volta per tutte che quella terra era stata occupata illegalmente dall’uomo bianco. Per il risarcimento dei danni, i giudici stabilirono che lo stato dovesse pagare la cifra di 100 milioni di dollari in favore dei Sioux. Ma le tribù di Black Hills decisero di rifiutare quel denaro, sostenendo che la loro terra non poteva essere oggetto di una compravendita.

 Anche oggi, dopo il felice ritorno di queste terre ai residenti originari, resta di fatto il dubbio se una terra sacra possa essere comprata o venduta e se questa transazione sia stata legittima.

Questa vicenda è emblematica e testimonia la profonda aspirazione di tutti i popoli ad onorare, all’interno dei propri spazi territoriali, un luogo dedicato alla spiritualità, all’incontro con il Divino e alla celebrazione dei valori e dei principi universali della pace e dell’unione con tutti gli esseri.



Nel nord Europa, uno dei luoghi più carichi di significato religioso e spirituale è Stonehenge, un sito neolitico che si trova vicino ad Amesbury, nello Wiltshire, Inghilterra, sulla Piana di Salisbury. È composto da un insieme circolare di grosse pietre erette, conosciute come megaliti.

Il luogo è stato aggiunto alla lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel 1986. Le pietre di Stonehenge sono allineate con un significato particolare ai punti di solstizio ed equinozio. Di conseguenza, alcuni sostengono che Stonehenge rappresenti un "antico osservatorio astronomico", anche se l'importanza del suo uso per tale scopo è dibattuta.

Stonehenge è attualmente luogo di pellegrinaggio per molti seguaci del Celtismo, della Wicca e di altre religioni neopagane, e fu teatro di un festival musicale libero negli anni tra il 1972 e il 1984.

La sua nascita è associata alla leggenda di Re Artù. Goffredo di Monmouth racconta che il mago Merlino trasportò i blocchi di pietra dall'Irlanda, dove erano stati posti sul Monte Killaraus da Giganti che portarono le pietre dall'Africa. Dopo essere stato ricostruito vicino ad Amesbury, Goffredo narra come, prima Uther Pendragon, e poi Costantino III, vennero seppelliti all'interno dell'anello di pietre. I Druidi utilizzavano queste enormi pietre come templi sacri dove si recavano  a pregare.



Nell’Islam il luogo sacro per eccellenza è rappresentato dalla Mecca. Il pellegrinaggio alla Mecca è il quinto pilastro dell'Islam: ogni musulmano ha l'obbligo di recarvisi almeno una volta nella vita se i suoi mezzi glielo consentono. Il pellegrinaggio si svolge tra l'ottavo e il tredicesimo giorno del mese di Dhu l-hijjah. Esso costituisce un evento importante nella vita del credente, rappresentando un mezzo di purificazione. Nel viaggio verso e attorno la casa di Dio, l'uomo chiede perdono per i suoi peccati e viene purificato attraverso il suo pentimento e la celebrazione di alcuni riti religiosi. Il musulmano, dopo il pellegrinaggio, porta il titolo meritorio di Hajji, e dovrebbe tendere da quel momento in poi verso una vita devota. Il luogo del pellegrinaggio è la grande moschea della Mecca che comprende la Ka'bah e la fonte di Zamzam. La Ka'bah è un edificio cubico situato più o meno al centro del grande cortile della moschea; nel suo lato orientale è collocata la pietra nera, un blocco di minerale di colore nero e di origine sconosciuta (la tradizione vuole che l'abbia portata sulla terra l'arcangelo Gabriele dal paradiso terrestre), già sacro ad Abramo e agli arabi preislamici, a cinque piedi dal suolo, in un castone d'argento. Essa è oggetto di venerazione ma non di adorazione. Scriveva il viaggiatore arabo-andaluso Ibn Jubayr nel 1184: "Mirare questo santuario e la Venerata Casa è cosa terribile che riempie gli animi d'estasi e rapisce i cuori e gli intelletti. La pietra nera è dal suolo sei palmi e per baciarla chi è alto si china verso essa e chi è basso si allunga. Essa è fasciata da una lamina d'argento, il cui bianco lucente brilla sul lustro nero della pietra.
Quanti fanno i giri della Ka’ba, vi si gettano sopra come fanno i figlioli sulla madre affettuosa. . . "

A Roma, tra i numerosi siti della spiritualità cristiana, interessanti anche per la continuità del culto religioso che vi si praticava nei secoli precedenti alla loro edificazione, c’è La Basilica di Santa Maria sopra Minerva e la Basilica di San Paolo fuori le mura. La basilica di Santa Maria sopra Minerva ospita le spoglie di Santa Caterina da Siena e del pittore mistico Beato Angelico, proclamato «Patrono universale degli artisti» nel 1984. Fu nel convento adiacente alla chiesa che, il 22 giugno 1633, il padre dell'astronomia moderna Galileo Galilei, sospettato di eresia, abiurò le sue tesi scientifiche. Si ritiene che la chiesa sia sorta sopra il tempio di "Minerva Chalcidica", costruito da Domiziano nel Campo Marzio. 

Nell’iscrizione sopra l’arco trionfale della Basilica di San Paolo fuori le mura, è riportato:  TEODOSIVS CEPIT PERFECIT ONORIUS AVLAM DOCTORIS MVNDI SACRATAM CORPORE PAVLI  (= Teodosio iniziò, Onorio portò a termine questo tempio, santificato dal corpo di Paolo, dottore del mondo).  Dal 1300, data del primo Anno Santo, fa parte dell'itinerario giubilare per ottenere l'indulgenza e vi si celebra il rito dell'apertura della Porta Santa. Quest’area, al 2º miglio della Via Ostiense, era occupata un tempo  da un vasto cimitero subdiale (da sub divos = sotto gli dèi, vale a dire a cielo aperto), in uso costante dal I° secolo a.C. al III secolo d.C., sporadicamente riutilizzato, soprattutto per la costruzione di mausolei, fino alla tarda antichità. È in quest’area sepolcrale che, come qualsiasi condannato a morte, la tradizione afferma che Paolo di Tarso sia stato sepolto dopo aver subito il martirio.



Anche le origini della psicoterapia occidentale rivelano un antico passato legato ad istanze di tipo mitico-religioso collegate ai luoghi di culto. Il tema della “cura degli affetti” è antico quanto la civiltà stessa, ed i tentativi empirici del “prendersi cura” della sofferenza emotiva e dei disturbi psichici erano parte integrante dei sistemi medici tradizionali dell’antichità. Il paradigma fondante della Physis era il Sacro, e sia la patologia che la possibilità di risolverla erano ricondotte, simbolicamente, a tale categoria. Diffusi in tutta la Grecia erano i templi di Esculapio, figlio di Apollo e Coronide e semidio tutelare della Medicina. Nei grandi santuari di Pergamo e di Epidauro, i sacerdoti di Esculapio accoglievano i malati-pellegrini, che avevano iniziato tempo prima il loro “viaggio”, fisico e simbolico, verso la guarigione. All'interno di un'atmosfera ieratica e ricca di simbolismi, il questuante veniva posto a dormire nel tempio, dove, attraverso i sogni notturni inviati da Esculapio o da Apollo, prendevano forma le indicazioni degli Dei finalizzate al recupero della salute. Le interpretazioni dei sacerdoti permettevano quindi di ricondurre ad un livello operativo le istanze simboliche rappresentate nei contenuti onirici prodotti in tale contesto sacrale.



“Tra le distese d’acqua sono l’oceano (Bhagavad-gita X.24)….. Tra le montagne sono Meru (Bhagavad-gita X.23)….. Tra le masse inamovibili sono l’Himalaya (Bhagavad-gita X.25)….. e tra i corsi d’acqua sono il Gange (Bhagavad-gita X.31)”, proclama Shri Krishna nella Bhagavad-gita.

Il Gange, grande fiume del subcontinente indiano che scorre verso oriente attraversando le pianure del nord dell'India e il West Bengala, è adorato nella sua forma personificata della dea Ganga.

Nel suo libro Discovery of India, Jawaharlal Nehru scrive: “Il Gange, soprattutto è il fiume dell'India, che ha preso prigioniero il cuore degli indiani e ne ha attratto innumerevoli milioni alle sue rive fin dagli albori della storia. La storia del Gange, dalla sua sorgente al mare, dai tempi antichi ai nuovi, è la storia della civiltà e della cultura dell'India, della nascita e della caduta di imperi, di grandi e fiere città, dell'avventura dell'uomo…”

Secondo la tradizione induista, bagnandosi nel fiume (in particolare in talune occasioni) si può ottenere il perdono dei peccati e un aiuto per raggiungere la salvezza. Le abluzioni mattutine e serali sono normalmente effettuate presso alcune strutture dedicate costituite da scalinate che terminano nel fiume, dette ghats. Molte persone compiono lunghi viaggi per immergere le ceneri della cremazione dei loro familiari nelle acque del Gange; si crede che questa immersione possa far salire l'anima al cielo. Numerosi luoghi sacri della civiltà indovedica si trovano lungo le sponde del fiume Gange, tra cui Haridwar e Varanasi. Le antiche scritture ricordano che l'acqua del Gange porta le benedizioni dei piedi del Signore Vishnu; quindi la Madre Gange è anche conosciuta come Vishnupadi, che significa "proveniente dai piedi di loto del Signore Supremo, Sri Vishnu".

La mitologia indiana afferma che Ganga, figlia di Himavan, re della montagna, aveva il potere di purificare tutto ciò che toccava.



L'Himalaya, detta anche “Tetto del Mondo”, è una catena montuosa dell'Asia, che separa India, Pakistan, Nepal e Bhutan dalla Cina. È lunga circa 2.400 km per una larghezza di circa 100/200 km.

Vi sono comprese le più alte vette del mondo, come il Monte Everest (8848 m), il K2 (8611 m) ed il Kanchenjunga (8589 m). In lingua sanscrita, Himalaya significa la Dimora delle Nevi Eterne.

I toponimi usati per individuare i monti himalayani sono in genere formati da radici nepalesi, tibetane, turchestane e sanscrite, combinate talvolta in modo ibrido tra loro, e possiedono una notevole capacità espressiva ed una ricca condensazione di significati. Ad esempio: Gosainthan, il luogo dei santi, Trisul, il tridente (simbolo di Shiva), Indrasan, il trono di Indra, Manaslu, la montagna dello spirito, Chomo Lungma (rinominato Everest), la dea madre della terra, Annapurna, la dea delle messi e dell'abbondanza, Ama Dablam, la madre che abbraccia.

Non è certamente un caso se antichi popoli, su entrambi i versanti della catena himalayana, hanno sempre identificato le più alte montagne del mondo come la sede dei loro dei. Ancora oggi, seguendo un'antica tradizione, vige l'usanza nelle spedizioni alpinistiche di fermarsi un metro sotto la vetta per un senso di mistico rispetto e di deferente omaggio verso la casa di Dio.

Diceva François Mauriac: “Non si possono nutrire pensieri cattivi al di sopra di una certa altitudine”. 

A proposito della potente e benefica influenza dei luoghi santi, non può sfuggire come il testo sacro per eccellenza della Tradizione Indovedica, la Bhagavad-gita, si apra con un canto intitolato “Sul campo di battaglia di Kurukshetra” ed esordisca con lo shloka:
dhritarashtra uvaca
dharma-kshetre kuru-kshetre
samaveta yuyutsavah
mamakah pandavas caiva
kim akurvata sanjaya
“Dhritarastra disse: O Sanjaya, che cosa hanno fatto i miei figli e i figli di Pandu dopo essersi riuniti nel luogo santo di Kuruksetra, pronti ad attaccar battaglia?” (Bhagavad-gita I.1).
Così commenta il verso Sua Divina Grazia A.C. Bhaktivedanta Swami Prabhupada:
“Il dialogo tra Dhritarashtra e Sanjaya, come lo riporta il Mahabharata, costituisce la base di questa grande filosofia, che il Signore, venuto in persona sul nostro pianeta per guidare gli uomini, rivelò sul campo di battaglia di Kurukshetra (terra sacra, luogo di pellegrinaggio fin dai tempi immemorabili dell’età vedica). La parola dharma-kshetra (letteralmente = luogo dove si compiono riti religiosi) è molto significativa qui perché è Dio stesso, la Persona Suprema, che Si trova accanto ad Arjuna sul campo di battaglia di Kurukshetra. Dhritarashtra teme molto l’influsso del luogo sacro sull’esito della battaglia, perché i Veda ne parlano come di un luogo di sacrifici dove discendono anche gli abitanti dei pianeti celesti, e sa che il suo influsso positivo favorirà Arjuna e i Pandava grazie alla loro virtù. E appare evidente, fin dall’inizio di questa narrazione, che il figlio di Dhritarashtra (Duryodhana) e i suoi seguaci saranno spazzati via dal luogo santo di Kurukshetra dove si trova Krishna, il Signore Supremo; saranno estirpati come erbacce in un campo di riso, e le persone profondamente virtuose, guidate da Yudhisthira, trionferanno per la grazia del Signore. Questo è il significato delle parole dharma-kshetre”.
Lo psicoanalista Erich Neumann, nel testo “Il rito, legame tra gli uomini, comunicazione con gli Dei”, (di E. Neumann, A. Portmann, G. Scholem, Red edizioni, Como, 1991) riporta interessanti riflessioni sullo sviluppo dei rituali a partire dalle culture più arcaiche, partendo dal presupposto che i riti sviluppino ed esprimano concetti archetipici antichissimi, a cui il singolo non può accedere se non nell’esperienza che può compiere all’interno di un gruppo.
Rito originariamente significava Percorso: nell’antichità per compiere rituali venivano utilizzate delle caverne, archetipo della Grande Madre Montagna, che gli uomini possono raggiungere solo a patto di vincere la propria paura, seguendo il sentiero che conduce nelle tenebre e superando una prova interiore e fisica. Nel momento in cui questo sforzo diventa supremo, si raggiunge il bursting point (punto di deflagrazione) e diventa possibile la rivelazione dell’Assoluto. Da questo momento, storicamente, il luogo della prima rivelazione diventa sede di culto, “la grotta sacra”, il prototipo di ogni tempio. Il percorso diventa così labirinto iniziatico.
Secondo Neumann, “…compiere un rito significava in origine danzare. La danza è l’azione in cui il corpo ripropone la figura archetipica che sta alla base del rito: il singolo individuo trascende il suo Sé corporeo, per fondersi con il suo Sé Spirituale, ovvero con il Sé Spirituale del gruppo. Solo il gruppo può essere conduttore del rituale magico, anche se è presente una Guida: il contatto con l’Assoluto è possibile solo attraverso il gruppo. La meticolosità e la precisione dei rituali fornisce una barriera di protezione per le tendenze straripanti dell’archetipo. Inoltre, la ripetitività garantisce l’accesso all’inconscio che l’Io e la razionalità ostacolano”.
Neumann prosegue riflettendo sulle modifiche che storicamente ha subito il concetto di rito, fino al suo impoverimento, e sostiene che nella società occidentale possiamo incontrare il fenomeno rituale in tre casi: nel processo creativo, nella malattia psichica e nel processo di individuazione.
Nella tradizione vaishnava, il luogo sacro per antonomasia è il Radha-kunda, il laghetto dei lila divini di Radha e Krishna.
Estratto dal commento al verso 10.36.16 dello Shrimad Bhagavatam di Srila Visvanatha Cakravarti Thakura: “Quando l'oscurità li avvolse, Krishna e le gopi formarono un cerchio ed iniziarono la danza rasa. Krishna somigliava ad una nuvola carica di pioggia e Radharani al bagliore del lampo. Mentre danzavano, venivano completamente sommersi da una luminosa felicità spirituale. Da quella notte in poi, il laghetto (kundha) di Radharani sarebbe stato chiamato Radha Kunda e quello di Krishna Shyama Kunda. E chiunque si bagni anche una sola volta nel Suo laghetto o faccia servizio devozionale sulle sue sponde, per misericordia di Radharani, svilupperà puro amore per Krishna. Questo amore culminerà in una ininterrotta estasi divina e perciò Radha Kunda è diventato famoso come il luogo di pellegrinaggio più elevato del mondo. Per questa ragione, un numero infinito di pellegrini viaggiano per molti chilometri solo per bagnarsi nelle sue acque sacre da cui ricevono elevazione spirituale”.
Shrila Rupa Gosvami, nell’Upadeshamrita, afferma:
“Il luogo sacro conosciuto come Mathura è spiritualmente superiore a Vaikuntha, il mondo spirituale, perché è là che il Signore è apparso. Superiore a Mathura-puri è la foresta spirituale  di Vrindavana, dove si sono svolti i divertimenti della rasa-lila di Krishna. Superiore alla foresta di Vrindavana è la collina Govardhana, che fu sollevata dalla mano divina di Shri  Krishna e fu teatro di molti suoi giochi d’amore. Al di sopra di tutti questi luoghi si erge supremo il perfetto Shri Radha-kunda, che è inondato dall’ambrosia e dal nettare dell’amore assoluto (prema) per il Signore di Gokula, Sri Krishna. Dov’è dunque la persona intelligente che non desidera servire questo divino Radha-kunda, che si trova ai piedi della collina Govardhana?” (Upadeshamrita, verso 9).
Le scritture vediche ci insegnano quindi  che è sacro tutto ciò che risplende e riverbera della luce dell’Amore divino. È sacro ogni suolo che è stato inondato dall’Amore spirituale per il Signore Supremo. È sacro ogni tempio, ogni lago, ogni cerchio dove Dio ha posato il suo sguardo benevolo, largo come la luce del giorno e delle stelle. E il sacro cerchio di ogni popolo è uno dei tanti che formano un unico grande cerchio, nel cui centro sono riunite tutte le creature, figli e figlie di un unico Padre e di un’unica Madre. E il centro del mondo è ovunque….




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