paperblog

domenica 28 ottobre 2018

LA TRAPPOLA DEL GIOCO dalla passione alla dipendenza



Se desideriamo essere felici, il gioco è un ingrediente che non può mancare.

Attività tipica dell’infanzia, ma necessaria anche nelle altre età della vita, è caratterizzato da sentimenti di piacevolezza e gratificazione che risiedono nel gioco stesso e non nel fine o nel risultato che esso produce.
In modo diverso a seconda dell’età, esso è il nutrimento essenziale della nostra esistenza: il bambino che non ha potuto giocare diventa spesso il “bravo ometto” incapace di sorprendersi e di provare abbandono; l’adolescente che non gioca sarà un adulto compresso e con difficoltà relazionali. L’adulto che non gioca più è sempre stressato, tirato e stanco. L’anziano che non sa più giocare invecchia tra mille acciacchi, pessimismo e depressione. Una linfa vitale, dunque, dai multiformi aspetti.

L’adulto di oggi sa giocare poco. Spesso tenta di unire l’utile al dilettevole, o crede che ciò che è utile a qualche finalità sia anche ciò che gli dovrebbe piacere. A volte sceglie i giochi in base ai condizionamenti dei media e pensa di divertirsi, ma in realtà si annoia. Altre volte intende il gioco come tutto ciò che è fuga dalla realtà, oppure proprio non sa giocare e prende tutto sul serio. A volte gioca nel momento sbagliato, ad esempio sul lavoro o nei momenti seri di un discorso. Talvolta non si diverte se non c’è una ferrea competizione, oppure pensa che essere adulti significhi non giocare più. E altre volte “gioca” con i sentimenti degli altri, come l’eterno Peter Pan, la cui sindrome è oggi in piena espansione.
Oppure gioca, ma d’azzardo.

La parola “azzardo” deriva dal francese hasard , un termine a sua volta di origine araba e derivante dal termine az-zahr che designava il “dado”, uno dei più antichi oggetti a cui si lega la tradizione del gioco sociale di scommessa.
Il gioco dei dadi viene citato nella Letteratura Vedica[1]; nell’antica Grecia era usuale scommettere sui risultati dei giochi olimpici; le cosiddette munera erano le puntate con cui gli antichi romani scommettevano sui combattimenti dei gladiatori.

Oggi, la dimensione sociale del gioco d’azzardo è in gran parte favorita dalle crescenti possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, purtroppo sempre più legalizzate, che rispondono alle esigenze di giocatori con diverse propensioni e differenti personalità: dai giocatori d’azzardo da gran salone, come quelli che frequentano i casinò e le slot-machine, agli appassionati dei videogiochi che si lasciano conquistare dai sempre più diffusi videopoker, agli appassionati dei giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il superenalotto, il totip, fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che riesce a conquistare anche interi gruppi grazie al suo profondo legame con il vissuto di una vecchia usanza festiva a dimensione familiare.
Recentemente è possibile anche scommettere su eventi non sportivi come i festival musicali (Sanremo ed Eurovision Song Contest) e i reality.

L'organizzazione del gioco d'azzardo, in tutti i paesi in cui è permesso, è in pratica gestita dallo stato, il quale appalta a ditte private, dietro pagamento di una forte tassa, l'esclusiva in una delimitata zona. L'attività di gestione di un casinò o di una agenzia scommesse è estremamente redditizia e si presta a molti traffici illegali, come riciclaggio di denaro sporco, estorsione, usura e altre attività criminali organizzate, rendendo indispensabile un suo stretto controllo. Tuttavia non sempre tali controlli vengono eseguiti in maniera scrupolosa e capillare e quindi molti Stati UE, tra cui l'Inghilterra e recentemente anche Spagna e Italia, hanno optato per la liberalizzazione del settore, in modo da relegare al mercato il controllo della serietà e onestà delle case da gioco.
La nozione di gioco d'azzardo si evince dall'art. 720 del codice penale: sono giochi d'azzardo quelli in cui ricorre il fine di lucro e la vincita o la perdita sono interamente o quasi interamente aleatorie.

Nel trattato “Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni” (1776), l’economista scozzese Adam Smith dedica un paragrafo[2] alla questione riguardante la scarsa equità delle lotterie nazionali:
Non è mai esistita e mai esisterà al mondo una lotteria perfettamente equa, tale cioè che il guadagno totale compensi la perdita totale, poiché il gestore non ne ricaverebbe niente. I biglietti nelle lotterie di Stato non valgono realmente il prezzo pagato dai sottoscrittori originari e tuttavia si vendono comunemente sul mercato con un sovrapprezzo del venti per cento, del trenta per cento e qualche volta del quaranta per cento. La vana speranza di guadagnare uno dei grandi premi è la sola ragione di questa domanda. Anche le persone più equilibrate difficilmente considerano una follia pagare una piccola somma in cambio della possibilità di guadagnare dieci o ventimila sterline, perché non sanno che quella somma, pur piccola, è superiore del venti o trenta per cento al valore della probabilità che rappresenta”.

Nell’era multimediale il giocatore d’azzardo ha cambiato veste: mentre prima era facilmente individuabile, “segregato” nei luoghi a lui deputati, ora chiunque sia in possesso di un computer, di un collegamento a internet e di una carta di credito, può diventare un giocatore compulsivo. Il gioco on-line è estremamente pericoloso proprio perché, nella solitudine della propria casa, il giocatore non ha freni, né inibitori, né di tipo pratico: ha infatti 24 ore su 24 la possibilità di accedere al gioco senza incorrere nello sguardo giudicante degli altri. Viene in questo modo a mancare anche la funzione socializzante del gioco, che diviene un rituale solitario. Anche qui, come nelle altre net-patologie, si crea un circolo vizioso in cui il soggetto rimane incastrato, trascurando i rapporti sociali e familiari.

Il gioco d'azzardo patologico è un disturbo del comportamento che, benché rientri tuttora nella categoria diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi, ha in realtà una grande attinenza con la tossicodipendenza, tanto da rientrare nell'area delle cosiddette "dipendenze senza sostanze".
Il giocatore patologico, infatti, mostra una crescente dipendenza nei confronti del gioco d'azzardo, aumentando la frequenza delle giocate, il tempo passato a giocare e la somma spesa nel tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando i normali impegni della vita.

Se un individuo presenta almeno cinque di questi sintomi, viene diagnosticato un quadro di gioco d’azzardo patologico (DSM-IV, 1994):
1.      È eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (per esempio, il soggetto è continuamente intento a rivivere esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare i modi per procurarsi denaro con cui giocare)
2.      Ha bisogno di giocare somme di denaro sempre maggiori per raggiungere lo stato di eccitazione desiderato
3.      Ha ripetutamente tentato di ridurre, controllare o interrompere il gioco d’azzardo, ma senza successo
4.      È irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo
5.      Gioca d’azzardo per sfuggire ai problemi o per alleviare un umore disforico (per esempio, sentimenti di impotenza, colpa, ansia, depressione)
6.      Dopo aver perso al gioco, spesso ritorna un altro giorno a giocare ancora (rincorrendo le proprie perdite)
7.      Mente ai membri della propria famiglia, al terapeuta o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo
8.      Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d’azzardo
9.      Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo
10.  Fa affidamento sugli altri per reperire il denaro per alleviare una situazione economica disperata causata dal gioco (“operazione di salvataggio”).

Nella “ludodipendenza” (o compulsive gambling), il vero senso del gioco, attraverso cui si può costruire e scoprire il proprio Sè - sperimentando libertà, creatività, apprendimento di regole e ruoli e sospendendo le conseguenze reali - viene completamente ribaltato per trasformarsi in schiavitù, ossessione, ripetitività.

In relazione alle motivazioni che sembrano determinare e accompagnare il gioco d’azzardo, alcune ricerche hanno distinto le seguenti tipologie di giocatori (Alonso Fernandez F., 1996, Dickerson M., 1993):
·         il giocatore sociale, che mosso dalla partecipazione ricreativa, considera il gioco come un’occasione per socializzare e divertirsi;
·         il giocatore problematico in cui, pur non essendo presente ancora una vera e propria patologia attiva, esistono dei problemi sociali da cui sfugge o a cui cerca soluzione attraverso il gioco;
·         il giocatore patologico in cui la dimensione del gioco è ribaltata in un comportamento distruttivo che è alimentato da altre serie problematiche psichiche;
·         il giocatore patologico impulsivo/dipendente in cui i gravi sintomi che sottolineano il rapporto patologico con il gioco d’azzardo sono talvolta più centrati sull’impulsività e altre volte sulla dipendenza.

Lo stato mentale di un giocatore patologico si caratterizza per il raggiungimento di uno stato similare alla sbornia, con una modificazione della percezione temporale, un rallentamento o perfino blocco del tempo, che conduce ad uno stato di estasi ipnotica dal gioco. Talvolta questa condizione della mente è favorita da un reale consumo di alcolici o di altre sostanze, associato al gioco, che alimenta la perdita di controllo della propria condotta.
Si può parlare di una vera e propria “dipendenza dal gioco d’azzardo” se sono presenti cosiddetti sintomi di tolleranza, come il bisogno di aumentare la quantità di gioco, sintomi di astinenza, come malessere legato ad ansietà e irritabilità associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi e sintomi di perdita di controllo, manifestati attraverso l’incapacità di smettere di giocare.

I giochi che sembrano predisporre maggiormente al rischio sono quelli che offrono maggiore vicinanza spazio-temporale tra scommessa e premio, quali le slot-machine e i giochi da casinò, ma anche i videopoker e il Bingo.
Le fasce più a rischio sembrano invece, tra le donne, le casalinghe e le lavoratrici autonome dai quaranta ai cinquant’anni e, tra gli uomini, i disoccupati o i lavoratori autonomi che hanno un frequente contatto col denaro o con la vendita ed un’età intorno ai quarant’anni.

Alcuni autori (R. Custer, 1982) distinguono le fasi di progressione del gioco d’azzardo patologico, in cui un giocatore si può muovere sia sul versante dell’aggravamento del problema che della possibile risoluzione dello stesso. Più precisamente sono state individuate le seguenti tappe:
FASE VINCENTE: caratterizzata dal gioco occasionale e da vincite iniziali che motivano a giocare in modo crescente, spesso grazie alla capacità del gioco di produrre un piacere e di alleviare tensioni e stati emotivi negativi;
FASE PERDENTE: connotata dal gioco solitario, dall’aumento del denaro investito nel gioco, dalla nascita di debiti, dalla crescita del pensiero relativo al gioco e del tempo speso a giocare;
FASE DI DISPERAZIONE: in cui cresce ancora il tempo dedicato al gioco e l’isolamento sociale conseguente, con il degenerare dei problemi lavorativi/scolastici e familiari (divorzi, separazioni) che talvolta generano anche gesti disperati di tentativi di suicidio;
FASE CRITICA: in cui nasce il desiderio di aiuto, la speranza di uscire dal problema e il tentativo realistico di risolverlo attraverso il ritorno al lavoro, nonché i tentativi di ricucire debiti e problemi socio-familiari;
FASE DI RICOSTRUZIONE: in cui cominciano a vedersi i miglioramenti nella vita familiare, nella capacità di pianificare nuovi obiettivi e nell’autostima;
FASE DI CRESCITA: in cui si sviluppa maggiore introspezione e un nuovo stile di vita lontano dal gioco.

Dal momento in cui il gioco d’azzardo patologico è stato riconosciuto come un vero e proprio disturbo psicologico, distinto da altre problematiche, sono stati sviluppati diversi programmi di intervento sul problema. Spesso la terapia si svolge in vere e proprie comunità di recupero (gruppi di auto-aiuto per Giocatori Anonimi), ed è fondata su diversi step per l’uscita dal problema: dal suo riconoscimento, alla condivisione, ai traguardi verso l’abbandono basati sull’analisi delle tecniche di autoinganno comuni che spesso vengono più facilmente osservate nei racconti degli altri giocatori. Gli obiettivi sono sempre centrati sulla possibilità di modificare, oltre che il comportamento di gioco, il substrato cognitivo legato all’idea che prima o poi arriverà il giorno in cui il gioco potrà cambiare la propria vita risolvendo magicamente i propri problemi.

La Tradizione Bhaktivedantica dedica un’attenzione particolare al problema della dipendenza dal gioco d’azzardo, tanto che la pratica spirituale giornaliera (sadhana) di chi desidera incamminarsi sul sentiero della realizzazione e della trascendenza si basa su una rigorosa astensione da tale forma di comportamento nocivo.
Secondo, infatti, la legge del Dharma, l’insieme dei principi etici universali che regolano l’ordine cosmico, qualunque comportamento volto a danneggiare altri esseri umani o che implichi alterazioni di coscienza è da considerarsi pericoloso e va pertanto evitato:
“….Tutto ciò che intossica, tutto ciò che altera lo stato psichico, tutto ciò che artificialmente inebria o stordisce, deve essere evitato. Il gioco d’azzardo va evitato in quanto destabilizza la mente. Attenzione, perché non si gioca d’azzardo solo al casinò. Si può giocare d’azzardo anche con la propria vita, o con la vita degli altri. Questa espressione indica più esattamente di evitare di porsi in situazioni che sono inutilmente rischiose, per noi e/o per terzi” (Tratto da una lezione di Marco Ferrini, Trento, 13 aprile 2003).

La Bhagavad-gita esorta inoltre in modo chiaro a rifuggire dalle passioni pericolose:
“O capo dei Bharata, quando vi è un incremento della passione, si sviluppano i sintomi di un grande attaccamento, si moltiplicano le attività interessate e gli sforzi intensi, i desideri incontrollabili e le aspirazioni ardenti.” (Bhagavad-gita, XIV, 12)
“Essi (gli esseri dalla coscienza ottenebrata) credono che la gratificazione dei sensi sia la necessità primaria della civiltà umana, così fino a termine dei loro giorni vivono in un'ansia senza limiti. Impigliati in una rete di desideri, immersi nella lussuria e nella collera, accumulano denaro con mezzi illeciti per soddisfare i sensi.” (Bhagavad-gita, XVI, 11-12)
“Gli esseri dalla coscienza ottenebrata pensano: "Oggi possiedo tutta questa ricchezza e secondo i miei piani ne otterrò ancora di più. Ora tutto questo è mio e domani avrò di più, sempre di più. Quell'uomo era un mio nemico e io l'ho ucciso e anche gli altri nemici saranno a loro volta uccisi. Io sono il padrone di tutto, sono colui che gode di tutto. Ecco come queste persone sono sviate dall'ignoranza.” (Bhagavad-gita, XVI, 13-15)

La Psicologia tramandata dalla cultura vedica fornisce vari strumenti per rendere la nostra coscienza più chiara e limpida: mantra, visualizzazioni meditative, tecniche yoga e altre semplici pratiche per equilibrare il rapporto mente-corpo-anima.
Come tutte le dipendenze, infatti, il gioco d’azzardo nasce da un eccessivo investimento di energie sul piano mentale che genera un continuo “girare a vuoto” tra ansie e aspettative. Il migliore rimedio a tali disturbi consiste nel portare consapevolezza e attenzione nei propri comportamenti, evitando di scacciarli o di combatterli, perché ciò ne alimenterebbe proprio la fonte (in genere, più ci ostiniamo a pensare all’oggetto della dipendenza, più questo si impadronisce della nostra mente).
Invece, le pratiche spirituali fondate sulle antiche tecniche yogiche di pranayama (controllo del respiro), pratyahara (concentrazione) e dhyana (meditazione), ispirate dai Saggi Indiani, insegnano a porsi in una posizione di distacco rispetto al flusso mentale (citta vritti), talvolta coercitivo, della nostra coscienza e a ritrovare gradualmente un dialogo costruttivo con il nostro vero Sé e con la nostra anima (atman).
Secondo la Tradizione Bhaktivedantica, anche la pratica regolare del mahamantra
hare krishna hare krishna krishna krishna hare hare hare rama hare rama rama rama hare hare
possiede la proprietà di “ripulire” la mente dai pensieri “tossici” e di illuminare le zone buie del nostro inconscio. Come affermato nella Caitanya-caritamrita:

hare nama harer nama
harer namaiva kevalam
kalau nasty eva nasty eva
nasty eva gatir anyatha

“Per il progresso spirituale in questa era di Kali non c’è alternativa, non c’è alternativa, non c’è alternativa al di fuori del santo nome, del santo nome, del santo nome del Signore” (Adi-lila, cap. 7, verso 76).
Il mantra, infatti, attraverso la sua vibrazione trascendente, ridesta in noi la coscienza originaria di esseri spirituali e aiuta a liberarci dalla morsa dell’illusione e dei condizionamenti (maya).
Con l’uso appropriato di tali terapie, il gioco, invece di portare degrado e schiavitù, tornerà ad essere un elemento naturale di crescita e felicità, un modo ideale per fermare il tempo e far uscire la nostra vera essenza.

Caterina Carloni



Risultati immagini per gioco d'azzardo





[1] Nel poema epico Mahabharata si narra di una  partita a dadi truccata, organizzata dal diabolico Duryodhana per
   sbarazzarsi dei suoi cugini, i Pandava, e impossessarsi in modo fraudolento del loro regno e dei loro beni (Mahabharata I.41-46).
[2]Dei salari e dei profitti nei diversi impieghi del lavoro e dei fondi”, libro primo, capitolo X.

Nessun commento:

Posta un commento