“Ogni sofferenza
umana contiene in sé il germe della felicità, basta saperla ascoltare con
disponibilità. La psicoanalisi è appunto questo, l'arte di ascoltare le voci
interiori per giungere alla realizzazione personale”.
(Erich Fromm, L'arte di ascoltare)
"A volte sembra che nessuno ascolti più.
(Erich Fromm, L'arte di ascoltare)
"A volte sembra che nessuno ascolti più.
Pretende che io
ascolti i suoi problemi, ma non si interessa mai dei miei.. Si lamenta in
continuazione.. Non mi parla mai. L’unica occasione in cui scopro cosa succede
nella sua vita è quando lo sento per caso che ne parla con qualcun altro.
Perché non racconta mai a me queste cose? Non posso parlare con lei perché è così critica..
Le
mogli si lamentano del fatto che i loro mariti le danno per scontate. I mariti
si lamentano perché le loro mogli brontolano e divagano continuamente,
impiegando una vita ad arrivare al punto.
Poche
motivazioni nell’esperienza umana sono tanto potenti quanto il desiderio di
essere capiti. Essere ascoltati significa che veniamo presi sul serio, che le
nostre idee ed i nostri sentimenti vengono riconosciuti e che, in definitiva,
ciò che abbiamo da dire ha un valore.
Il
desiderio di essere ascoltati e compresi è il desiderio di sfuggire
all’isolamento e colmare la distanza che ci separa dagli altri, significa
tendere le mani e cercare di superare il senso di separazione dal mondo,
significa rivelare cosa abbiamo nella mente e nel cuore sperando di essere
compresi.
Ottenere
tale comprensione dovrebbe essere facile, eppure non lo è.
L’essenza
di un buon ascolto è l’empatia, che si può ottenere soltanto mettendo da parte
la preoccupazione per noi stessi ed immedesimandoci nell’esperienza dell’altra
persona.
In
parte intuizione e in parte impegno: questa è la materia prima dei rapporti
umani.
L’empatia
di un ascoltatore, il fatto che capisca ciò che intendiamo dire e che lo
dimostri, instaura un legame di comprensione che ci unisce a qualcuno che tiene
a noi confermando con ciò che i nostri sentimenti sono riconoscibili e
legittimi.
Il
potere dell’ascolto empatico è quello di trasformare una relazione.
Quando
sentimenti profondi ma inespressi assumono la forma di parole che vengono
condivise e ci ritornano chiarificate, il risultato è la rassicurante
sensazione di essere compresi ed un senso di gratitudine per la condivisione di
calore umano con la persona che capisce.
Se
l’ascolto irrobustisce le nostre relazioni cementando i legami reciproci, esso fortifica
anche la nostra autoconsapevolezza. In presenza di un ascoltatore ricettivo
siamo in grado di chiarire ciò che pensiamo e scoprire ciò che sentiamo. Per
questo, raccontando la nostra esperienza a qualcuno che ascolta, siamo in grado
di ascoltare meglio noi stessi. Nel dialogo la nostra vita riprende forma come un’opera
a quattro mani”.
Così
esordisce Michael P. Nichols, professore di Psicologia presso il College of
William and Mary, nel suo libro “L’arte
perduta di ascoltare” (Positive Press, 1997).
Può
sembrare paradossale, ma proprio nell’epoca della comunicazione globale e della
connessione virtuale continua, le persone non hanno mai fatto così tanta fatica
a capirsi fra loro. A causa di una sempre più diffusa cultura della prestazione
e della sfida, per la quale ogni scambio dialogico è una sorta di occasione per
mostrare i propri “muscoli mentali”, negli scambi interpersonali finiamo spesso
per affermare i nostri pregiudizi invece di conoscere, capire e integrare la
realtà che ci circonda.
L’ascolto, si sa, costituisce un ingrediente imprescindibile per
una buona comunicazione tra gli esseri umani. Esso è la qualità principale di
ogni colloquio, non solo psicologico.
Le tipologie dell’ascolto, secondo gli studiosi del settore, si
suddividono in tre principali categorie:
·
l’ascolto passivo: il
ricevente non invia nessun feedback al proprio interlocutore; si limita
semplicemente ad udirlo ma le parole entrano in un orecchio ed escono
dall’altro. Questa modalità non solo lascia deluso l’emittente ma non permette
di cogliere gli aspetti essenziali della comunicazione;
·
l’ascolto selettivo: si
verifica quando il ricevente seleziona le informazioni che l’emittente invia,
recependo quelle che ritiene interessanti e scartando il rimanente. In tal modo
una parte importante del contenuto va perduta;
·
l’ascolto attivo: è
l’unico che porta ad una comunicazione efficace. Questo tipo di ascolto è
basato sul contatto nel “qui ed ora” e sulla restituzione di un feedback su quello
che si è appena ascoltato. Chi ascolta evita il giudizio e coglie i contenuti e
le sfumature (verbali e non verbali) della comunicazione. L’ascolto attivo
richiede la capacità di ascoltare l’altro pienamente.
Scrive
lo psicologo e giornalista statunitense D. Goleman:
“Impariamo ad ascoltare se sappiamo afferrare in pieno quanto
l’altro sta dicendo manifestando di averlo compreso con riformulazioni, se
riusciamo a sottolineare gli aspetti più salienti e significativi e rispettiamo
le pause dell’altro, se non imponiamo il nostro stile comunicativo ma siamo
capaci di adattarci allo stile dell’altro, se evitiamo di fare domande su
domande ma ci dedichiamo ad approfondire un tema alla volta, se nell’ascolto
riusciamo ad essere noi stessi” (Goleman, Intelligenza emotiva, 1997).
Ivey e altri ricercatori hanno dimostrato che la capacità di prestare
attenzione ed ascolto è costituita da quattro fondamentali dimensioni, definite
dagli autori “le dimensioni cruciali dell’ascolto” (3V + B). In breve, per
comunicare che si sta realmente ascoltando e prestando attenzione all’altro
sono necessarie le tre “V” più un linguaggio corporeo (B) che dimostri
attenzione (Ivey, Normington, Miller, Morril e Haase, 1968).
In sintesi, un buon ascolto richiede:
·
il Contatto Visivo (Visual Contact): per comunicare bene con il nostro interlocutore
occorre guardarlo;
·
il Tono
della voce (Vocal quality): tono e timbro di voce rappresentano parte
integrante del messaggio che ci viene trasmesso ed è pertanto utile imparare a
decifrarlo;
·
l’Aderenza
verbale (Verbal tracking): comunica meglio chi non cambia argomento e ascolta fino in fondo la
storia narrata dal suo interlocutore;
·
il Linguaggio
corporeo che
dimostri attenzione ed autenticità (Body
language): seppure inconsciamente, la persona con
cui parliamo percepisce il nostro interessamento alle sue parole se ci poniamo di fronte a lui apertamente, se
ci incliniamo leggermente in avanti, se abbiamo un viso espressivo e usiamo dei
gesti incoraggianti e facilitanti.
Gli errori invece più comuni che possono pregiudicare la
funzionalità di una comunicazione efficace sono stati individuati e studiati negli anni
settanta da T. Gordon, un
importante ricercatore della comunicazione e teorico dell’ascolto attivo. Ad
esempio:
1) Ordinare, comandare,
esigere;
2) Avvertire, minacciare;
3) Far la predica, rimproverare, dire cosa si deve o non si deve
fare;
4) Consigliare, offrire soluzioni o suggerimenti;
5) Redarguire, ammonire, fare argomentazioni logiche;
6) Giudicare, criticare, disapprovare, biasimare;
7) Definire, stereotipare, ridicolizzare;
8) Interpretare, analizzare, diagnosticare;
9) Fare domande, indagare, mettere in dubbio, controinterrogare;
10) Eludere, distrarre, fare del sarcasmo,
fare dello spirito, cambiare argomento.
Inoltre, Gordon fa osservare
che queste barriere alla comunicazione contengono sempre il pronome “Tu” (Tu sei così …,Tu non l’hai fatto …,Tu
dovresti comportarti diversamente …) con il risultato che l’altro si sente disconfermato. I messaggi-Tu
esprimono un giudizio su chi ascolta. I messaggi-Io, invece (Io sento che… Io vorrei…),
palesano il sentimento di chi parla e implicano un’ “assunzione
di responsabilità” che predispone ad un confronto orientato alla crescita del rapporto.
Gordon consiglia anche di prestare attenzione alle nostre
espressioni facciali perché queste possono sottolineare interesse o noia; di annuire
di tanto in tanto col capo, dicendo “capisco”, “certo”, “comprendo” etc, perché
questo fornisce all’interlocutore un chiaro segnale di ascolto; di riassumere
con parole proprie, in alcuni momenti della conversazione, ciò che è stato
detto, tipo “se comprendo bene stai dicendo che…”, “vuoi dire che…”; di fare
domande aperte e non chiuse, domande cioè che lasciano spazio di espressione al
nostro interlocutore.
Anche le pause e i silenzi sono importanti: se la persona è a suo
agio nel silenzio, è importante rimanere uniti nel silenzio; se, invece, si
percepisce imbarazzo o disagio, può essere opportuno fare una domanda o un
commento su qualcosa di significativo detto appena prima.
Essere se stessi, non mascherarsi, non compiacere ad ogni costo ma
lasciar fluire il nostro ascolto verso tutto ciò che c’è di profondamente umano
nell’altro sembra essere il vero segreto per una comunicazione empatica.
Per imparare ad ascoltare noi stessi e le nostre emozioni, un
suggerimento può essere quello di ascoltare spesso della buona musica, perché,
come sostiene il grande maestro Claudio
Abbado:“E’
la musica che insegna ad ascoltare: se si ascolta, s’impara”.
A questo
proposito, Daniel Levy, uno dei più valenti pianisti del nostro tempo e raffinato interprete di Liszt, Schumann e Chopin, ha recentemente
pubblicato un libro dal titolo “Echi del
Vento, storia di un viaggio al centro del suono” (Academyofeuphony editore).
L’autore utilizza la parola “eufonia” per indicare un suono bello e benefico,
spiegando: “Nulla di più sbagliato pensare che ascoltare sia cosa inutile. E’
raro che la capacità d’ascoltare sia innata. Al contrario, l’ascolto s’impara e
si perfeziona col tempo. Impariamo a leggere, a scrivere, a parlare, ma nessuna
materia ci insegna ad ascoltare. Con l’udito abbiamo sempre avuto tutti
l’impressione che non fosse necessario fare alcunché, che non fosse
indispensabile svilupparlo, mentre è questo un senso fondamentale, non solo per
i musicisti, che lo devono educare e sviluppare, ma per tutti gli esseri umani.
La musica aiuta prima di tutto ad avere un bagaglio diverso: estetico,
culturale ed anche energetico, sia da un punto di vista mentale che emotivo.
Una specie di forte energia che serve a vedere nitidamente, ascoltare più
attentamente e a prendere delle decisioni con maggiore lucidità. Ascoltare vuol dire, prima di tutto, mettersi
nei panni degli altri. Capire le cose dal loro punto di vista. Ma si tratta
anche di percepire ciò che forse un’altra persona non aveva intenzione di
dirci, ma involontariamente trasmette con il suo stile, il suo comportamento,
il suo modo di esprimersi, la postura fisica e anche con il tono di voce. Saper
ben ascoltare può portare ad aprire la mente a nuove idee, a nuove soluzioni,
ad arricchire la persona. È un’abilità che può essere molto utile anche per la
crescita professionale e contribuisce notevolmente a essere dei bravi genitori,
dei buoni figli, degli insostituibili compagni; è indispensabile ai medici, ai
manager, a chi occupa posti di responsabilità”.
Quando diciamo “il tuo tono non mi piace”, oppure “il
mio ritmo di lavoro non è quello giusto”, non ce ne rendiamo conto ma stiamo
costantemente adoperando termini della teoria musicale che si intrecciano con
la vita quotidiana. Ci sono tante altre di parole di uso comune che hanno un
legame con la musica e l’ascolto: sintonia, dialogo, intendersi (tipico delle “corde”),
assonanza, armonia e molte altre. L’ascolto è un processo attivo. Saper ascoltare
è la chiave fondamentale e la risorsa umana centrale per avanzare: una
necessità e una conquista.
In
una bella intervista rilasciata nel febbraio 2010, il prof. Marco Ferrini,
presidente e fondatore del Centro Studi Bhaktivedanta, riferendosi
all’influenza del suono sulla psiche, afferma:
“L’ascolto
attiene a vari stati di coscienza. Esistono diversi modi di ascoltare.
L’ascolto è una modalità dell’essere. Quando noi vogliamo che qualcosa entri
profondamente dentro e ci pervada, ascoltiamo in un modo. Quando invece
cerchiamo solo un’informazione banale, di limitata utilità, ascoltiamo
superficialmente. Se vogliamo cogliere un insegnamento profondo, una verità
sulla quale siamo pronti a strutturare la nostra vita, per dare un senso alla
nostra esistenza, allora ascoltiamo con differente attitudine. L’ascolto dunque
ha varie profondità che corrispondono all’interesse che ci anima. Quando
l’interesse è alto, sicuramente l’ascolto è molto profondo.
C’è un ascolto
di informazioni che vengono dall’esterno, che pur essendo preziose non sono
quelle di massimo pregio, quanto invece quelle che provengono dalla nostra
interiorità, ascoltando le quali capiamo che cosa veramente ci interessa, quali
fra le tante nostre possibilità desideriamo far crescere e quali invece potare,
sacrificare, affinché crescano i rami più importanti. Nelle scelte importanti
c’è un ascolto profondo e quello della nostra voce interiore è sicuramente
l’ascolto più significativo. Purtroppo vediamo che la gente ha perduto non solo
l’arte dell’ascolto, ma anche l’opportunità di essere educata ad ascoltare. La
preghiera è ascolto, la meditazione è ascolto, più meditiamo in profondità, più
ascoltiamo i nostri bisogni veri che sono quelli spirituali, ontologici e un
minuto o pochi minuti di questo ascolto possono trasformare la vita e donarci
quell’orientamento illuminato che noi cerchiamo da sempre verso la felicità”.
E poi aggiunge:
“I Veda sono per definizione Ascolto. Il
loro nome tecnico è Shruti che vuol
dire: ciò che si ascolta. Il Veda
quindi si ascolta, non si legge, lo si apprende ascoltando. Le Upanishad, che sono il corpo filosofico
dei Veda, sono “ciò che si ascolta ai
piedi del Maestro”. L’ascolto ha sicuramente un ruolo di primo piano. Il luogo
è l’Atman, il Sé, per dirla in
termini junghiani. Le Upanishad
dicono che l’orecchio non ascolta, come l’occhio non vede e come la pelle non
sente: è il Sé che compie tutte queste funzioni. Il Sé è immobile, non fa
attività, è definito testimone. Il luogo dell’ascolto è sicuramente il Sé, è
anche il luogo dove le dinamiche si mettono in moto e fanno succedere gli
accadimenti, è la qualità di coscienza che fa accadere le cose. Nel bene e nel
male i filtri del Sé, i filtri mentali, la struttura psichica, possono
riflettere dal mondo distorsioni o raggi di luce imperfetti. Il luogo della
memoria, dove possono rivivere e vengono evocati e quindi fatti germinare i
semi della conoscenza, sia essa artistica, scientifica, filosofica o religiosa,
è il Sé, l’unico centro creativo che si manifesta nel mondo attraverso il piano
immanente con l’ausilio dell’intelletto, dell’ego, dei sensi. La centrale è il
Sé, l’Atman, o il Brahman per utilizzare una terminologia
vedica” (M. Ferrini, Università degli Studi di Siena, 2010).
La Bhagavad-gita
descrive un metodo per sviluppare la capacità di ascolto delle proprie voci
interiori. Esso è riportato nel capitolo sesto, e consiste nella pratica del dhyana-yoga:
“Lo
spiritualista deve sempre impegnare il corpo, la mente e il sé nella relazione
col Supremo, deve vivere da solo in un luogo appartato e controllare la mente
con attenzione. Inoltre deve essere libero dai desideri e da ogni senso di
possesso” (Bhagavad-gita VI.10).
La
concentrazione della mente sul Supremo si chiama samadhi, o estasi.
“Per praticare lo yoga ci si deve ritirare in un luogo
appartato e preparare uno strato di erba kusa sul terreno,
coprendolo poi con una pelle di daino e con un panno morbido. Il seggio non
dev'essere né troppo alto né troppo basso e deve trovarsi in un luogo sacro.
Lo yogi deve poi sedersi immobile e praticare lo yoga per
purificare il cuore controllando la mente, i sensi e le attività, e
concentrando la mente su un unico punto” (Bhagavad-gita VI.11-12).
“Bisogna
tenere il corpo, il collo e la testa dritti su una linea retta e fissare lo
sguardo sulla punta del naso. Così, con la mente quieta e controllata,
completamente liberi dalla paura e dal desiderio sessuale, si deve meditare su
di Me nel cuore e fare di me il fine supremo dell’esistenza” (Bhagavad-gita
VI.13.14).
Un bellissimo canto devozionale di un grande
Acarya della Tradizione Bhaktivedantica, Govinda dasa Kaviraja, recita:
“Il forte desiderio di Govinda dasa è di
impegnarsi nei nove metodi della bhakti, cioè
di ascoltare (sravana) e di cantare le glorie di Shri Hari, di ricordarLo sempre,
di offrirGli preghiere, di servire i Suoi piedi di loto, di servire il Signore
Supremo nel ruolo di servitore, di adorarLo con fiori e incenso, di servirLo
come un amico e di dedicarsi completamente a Lui” (Govinda dasa Kaviraja, Bhajahu re mana, IV shloka).
L’ascolto delle storie che riguardano il
Signore Supremo e i suoi eterni compagni è quindi considerato uno dei più importanti
e basilari metodi yoga per riconnettersi alla Fonte della Vita, alla dimensione
spirituale originaria da cui tutti noi proveniamo.
In una conferenza tenuta a New York il 1
dicembre 1966 dal titolo “Conosci la verità ascoltando con sottomissione”, Sua
Divina Grazia Bhaktivedanta Swami Prabhupada, il Maestro fondatore dell’ISKON, spiega:
“Sri Krishna ha descritto i mahatma, le
grandi anime, che adorano il Signore Supremo con il metodo del kirtana. Kirtana significa
cantare o più esattamente kirtana significa descrivere. Si può
descrivere con la musica. Si può descrivere con le parole. Si può descrivere
con i discorsi. Qualsiasi tipo di descrizione viene detta kirtana e
se non si ascolta, non si può descrivere. Se non si conosce niente del Signore
Supremo, come si può descriverLo? Dunque l’ascolto, sravanam, è il primo
dei nove metodi di servizio di devozione al Signore.
Il Signore ci ha dato il potere dell’ascolto. Se si
ascolta da fonti autorevoli, si diventa perfetti semplicemente ascoltando.
Perciò si consiglia il primo principio: l’ascolto. Nel passato gli studenti
ascoltavano i Veda dal maestro spirituale. Nella Bhagavad-gita vedrete
che Arjuna ascolta da Krishna. Non studia la filosofia Vedanta sul
campo di battaglia, semplicemente ascolta. Questo è il metodo.
Si può ascoltare in qualsiasi luogo. Perfino su un
campo di battaglia si può ascoltare da una fonte autorevole. Il metodo per
acquisire la conoscenza è l’ascolto.
Ascoltare significa ricevere la conoscenza, non
inventarla. Il percorso vedico consiste nel ricevere oralmente con
sottomissione la conoscenza da maestro spirituale a studente, come afferma
anche la Bhagavad-gita: “evam parampara-praptam imam rajarsayo vidum”:
“In questo modo la conoscenza veniva tradizionalmente trasmessa da maestro
spirituale a discepolo” (IV.2).
L’ascolto è così potente che semplicemente ascoltando
da una fonte autorevole si può diventare veramente perfetti. Naturalmente, si
deve ascoltare con sottomissione: “Jnane prayasam udapasya namanta eva”.
Questo verso dello Srimad-Bhagavatam (X.14.3) suggerisce di non
essere arroganti. Il metodo vedico è sravanam, ascoltare
dalle autorità. Dobbiamo abbandonare questo metodo sciocco di cercare di
comprendere la Verità Assoluta con i nostri sforzi e diventare sottomessi.
Essere sottomessi significa essere consapevoli della propria
imperfezione.
Gli studenti erano soliti frequentare la scuola del
maestro, conosciuta come gurukula.
Ogni brahmana, ogni anima realizzata,
ogni vipra o persona esperta nella conoscenza della
letteratura vedica, aveva con sé dei brahmacari, giovani che
praticano il celibato. Essi seguivano tutte le regole della vita da brahmacari,
vivevano con il maestro spirituale ed egli insegnava loro la vera conoscenza
tratta dalla letteratura vedica. Questo è il metodo. Arjuna ascolta da Krishna, la Persona
perfetta. Si deve ascoltare da Krishna o da un Suo rappresentante. Il Suo
rappresentante è un devoto di Krishna. Arjuna diventò un rappresentante di
Krishna. In che modo? Perché, come Krishna ha detto, bhakto’si: “Tu
sei Mio devoto.” Nessuno può diventare un rappresentante di Krishna, Dio, senza
essere Suo devoto. Restate nella vostra posizione e ascoltate la Bhagavad-gita.
Alcuni di voi sono medici, altri ingegneri, uomini d’affari, impiegati, non ha
importanza. Rimanete nella vostra posizione. Restate americani, restate
cristiani. Non ha importanza, non riceverete alcun danno dall’ascolto della Bhagavad-gita.
Otterrete la conoscenza, diventerete cristiani migliori, diventerete americani
migliori. Vedete? Non stiamo cercando di trasformare gli americani in indiani o
gli indiani in americani o i cristiani in indù. Non è questa la nostra
missione. Predichiamo la scienza di Krishna, la scienza di Dio, la coscienza di
Krishna. Tutti possono apprendere questa scienza. Come? Con questo metodo.
Qual è questo metodo? Solo ascoltare con sottomissione cercando di comprendere
molto bene. Questo è tutto. Ascoltate la Bhagavad-gita con
sottomissione. Allora comprenderete Dio così bene che nonostante Egli sia
inconquistabile, Lo conquisterete con questo semplice metodo”.
Parlare è una
necessità, ascoltare è un’arte”, diceva Goethe; ma è un’arte oggi un po’
dimenticata perché, pur trattata già
nell’antichità da eminenti filosofi e pensatori, si è persa nei secoli come
attività poetica non-utile, superflua in un mondo come il nostro, che mira alla
concretezza e a risultati rapidi.
Plutarco,
nella sua famosa opera “L”arte di ascoltare”, dedicata al giovane Nicandro in
occasione del suo ingresso nell’età virile,
si rivolge ai giovani perché sappiano maturare senza cedere al disordine
delle emozioni, invitandoli alla pacatezza e alla riflessione.
Il
grande filosofo greco, che nell’ultima parte della sua vita fu Sacerdote al santuario
di Apollo a Delfi, mette in guardia contro le belle parole vuote, contro i discorsi
apparentemente affascinanti ma privi di sostanza, usati per abbindolare gli
ingenui e coloro, appunto, che non sanno ascoltare: “Messi dunque da parte l’ambizione e il piacere dell’udire, dobbiamo
ascoltare chi parla con animo pacato e ben disposto, come se fossimo stati
invitati ad un banchetto sacro o alla cerimonia iniziale di un rito religioso”.
E
conclude: “La
natura ha dato a ciascuno di noi due orecchie ma una sola lingua perché dobbiamo ascoltare il doppio di quanto
parliamo…..”
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